L’ambiente “obesogeno” occidentale si caratterizza per l’abbondanza di cibo non salutare. Tale ambiente ha comportato la crescita del numero di persone che tentano di controllare il loro peso corporeo. Uno studio americano ha riportato che oltre il 70% degli adulti negli Stati Uniti rivelava di aver contato le calorie, ridotto la quantità di introito giornaliero o dei grassi o aumentato i livelli di attività fisica almeno una volta negli ultimi 4 anni.
Le persone che tentano di controllare il loro peso, con una certa frequenza o regolarità, limitando l’apporto calorico, vengono definite “persone cronicamente a dieta” o “mangiatori restrittivi”.
Sfortunatamente, questi soggetti spesso falliscono nel loro obiettivo: il comportamento alimentare dei mangiatori restrittivi è caratterizzato da periodi di restrizione, che spesso determinano delle ricadute e periodi di abbuffate. I ricercatori hanno rilevato che in realtà le persone che tentano ripetutamente di mettersi a dieta, consumano in media la stessa quantità di calorie di chi non restringe l’alimentazione.
Nel corso degli anni sono state proposte molte spiegazioni per i problemi di regolazione alimentare. Ad esempio, si è pensato che i mangiatori restrittivi siano più vulnerabili all’apparenza edonistica ed invitante dei cibi poco salutari e quindi sperimentino un maggior desiderio di tali alimenti.
Gli studiosi hanno cercato di capire soprattutto in quale punto del processo di gestione del desiderio di cibo avvenga il fallimento.
Si sono esplorati quattro componenti: l’intensità del desiderio, il conflitto, la resistenza (ovvero l’uso dell’autocontrollo) e l’attuazione del comportamento.
Il primo aspetto, l’intensità del desiderio, ha a che fare con la carica di urgenza che la persona percepisce. I mangiatori restrittivi probabilmente sperimentano un desiderio di cibo più frequente e/o intenso, e partono in posizione svantaggiata rispetto a coloro che non adoperano restrizioni alimentari.
Il secondo elemento, il conflitto, riflette il grado in cui le persone percepiscono che un desiderio si trova in opposizione ad un altro obiettivo a lungo termine, trasformando il desiderio in tentazione. L’identificazione di un conflitto tra ciò che si vorrebbe e ciò che si dovrebbe fare rappresenta l’innesco cruciale per i tentativi di auto-controllo.
La terza componente, la resistenza, descrive il grado in cui una persona tenta di ignorare e/o inibire il desiderio di cibo, tramite l’auto-controllo. Il grado in cui le persone a dieta cercano di resistere ad un dato alimento dovrebbe risultare fortemente correlato al grado in cui sentono conflitto per quel desiderio. In altre parole, tanto più si percepisce conflitto tanto più si cercherà di opporre resistenza e non cadere in tentazione. Tuttavia, è importante distinguere tra conflitto e resistenza perché le persone a dieta non potranno sempre resistere a cibi che scatenano il desiderio e il conflitto. Alcuni possono perfino credere che le loro possibilità di essere in grado di resistere siano talmente basse che nemmeno tentano di farlo!
Il quarto aspetto, l’azione, riflette l’esito comportamentale del processo motivazionale che parte dal desiderio, passa per il conflitto, e giunge alla resistenza. Nel caso di un desiderio non conflittuale, il naturale decorso e termine del processo sarà l’esaudire il desiderio. Nel caso di tentativi di resistenza, tuttavia, agire significa fallire nell’autocontrollo e mostrare un comportamento contrario alle intenzioni.
Gli studiosi hanno anche cercato di capire come mai gli individui abbiano solitamente desideri e “dipendenza” da cibi non salutari, giungendo a due interpretazioni. Da una parte, i cibi non salutari (o food porn o ciò che viene solitamente definito “cibo schifezza”) hanno un gusto più forte e saporito e quindi ritenuti più allettanti. In effetti, il successo dell’industria alimentare sta proprio nell’aver creato cibo che stimola appositamente le preferenze biologiche dell’essere umano e degli animali verso grasso, sapidità e dolcezza.
Un'altra ipotesi è che le persone desiderino cibi “ipercalorici” perché proibiti, off-limits, sulla base delle ricerche svolte nell’ambito della resistenza ai divieti, per cui qualsiasi cosa sia definita un tabù alimenti il desiderio di sperimentarla e provarla.
Quindi, considerando che:
- Il controllo alimentare (imporsi regole e diete rigide e restrittive) potrebbe aumentare la frequenza e/o l’intensità del desiderio di cibo;
- La restrizione alimentare incrementa la percezione di conflitto tra ciò che vorrei mangiare e ciò che penso sia giusto o si debba mangiare;
- Tale conflitto richiede maggiori sforzi di autocontrollo e disciplina interiori;
- La sensazione di aver scarse abilità di auto-regolazione può far propendere verso una resa più o meno immediata al desiderio di cibo non sano…
La mindful eating, o alimentazione consapevole, basata sull’ascolto del corpo e delle proprie emozioni, sembra essere la strategia più efficace per regolare l’alimentazione in base a regole “interne” e non prescrizioni esterne vissute come divieti e restrizioni.
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