"La timidezza è un difetto che è rischioso rimproverare alle persone che vogliamo correggere" (F. de La Rochefoucauld)
La timidezza è un fenomeno universale, che ritroviamo in tutti i Paesi e in tutte le culture, sebbene con incidenze diverse (In Italia “colpisce” in forma lieve quasi il 60% dei soggetti, e il 10% in forma cronica).
Ma che cos’è la timidezza? Sembra impossibile darne una definizione univoca. Certamente rientra tra le forme, più o meno lievi, di ansia sociale. Si caratterizza per la tendenza a mantenersi in ombra, ad essere imbarazzati nelle situazioni sociali, nonostante il desiderio di stabilire relazioni. E’ legata alla paura del giudizio negativo altrui, ad una bassa autostima e ad uno stile attribuzionale pessimistico per cui i successi sono dovuti a fattori esterni e casuali e i danni sono provocati da fattori interni e stabili. Costituita quindi sia da una sofferenza interiore che da un comportamento goffo ed evitante esterno.
Proprio in base a queste caratteristiche, Pilkonis individuò due tipologie di soggetti timidi: da un lato i timidi introversi, ovvero coloro che sono pubblicamente timidi, che si espongono poco, che focalizzano la loro attenzione sulle impressioni che suscitano e sul possibile fallimento. Dall’altro i timidi estroversi, coloro che soffrono soprattutto per il disagio interiore, per la paura di non essere all’altezza, ma che riescono a trovare un modo per affrontare le situazioni sociali.
Oltre all’ansia c’è di più! Eh si, perché il soggetto timido si trova anche ad affrontare sentimenti di imbarazzo e vergogna nelle situazioni sociali. Emozioni tra le più sgradevoli da provare.
La condizione di imbarazzo sorge in risposta ad un comportamento impacciato, ad un’azione insolita o non consona alla situazione, alla sensazione di sentirsi al centro dell’attenzione.
Il sentimento di vergogna è invece legato al timore e al dispiacere di non dare una buona immagine di sè, e quindi di essere valutati negativamente.
Per quale motivo sperimentiamo la timidezza? Alcuni studiosi sostengono che abbia origini genetiche e sia perciò una caratteristica ereditaria, altri ipotizzano che sia frutto dell’evoluzione umana e che abbia aiutato a salvaguardare la specie da pericoli e situazioni incerte. Le attuali teorie cognitive e comportamentali ritengono invece possa essere appresa [tramite famiglie che sottolineano l’importanza del fare sempre buona impressione, da stimoli avversivi e negativi sperimentati casualmente in alcuni contesti sociali, da giudizi negativi ricevuti precocemente] e mantenuta da credenze ed aspettative rispetto alle relazioni sociali e se stessi.
Ma che cosa temono i timidi? In generale: le “prime volte”, dopo di che si crea un certo adattamento e il disagio va progressivamente diminuendo.
Nel particolare, si temono principalmente gli sconosciuti, persone del sesso opposto, parlare in pubblico, trovarsi in un gruppo numeroso, avere uno status inferiore e sentirsi inferiori (in altri aspetti) rispetto agli interlocutori.
Come si può sconfiggere la timidezza? E’ necessaria una forte motivazione e tanta pazienza. Occorre darsi del tempo.
Percorsi psicologici e terapie cognitivo comportamentali sembrano dare buoni risultati.
Una prima azione può essere attuata, sul piano comportamentale, attraverso l’esposizione alle situazioni temute, iniziando da quelle ritenute meno ansiogene dal soggetto.
Un'altra via, a livello prevalentemente cognitivo, può essere quella di analizzare i pensieri sottostanti alle situazioni che creano disagio e metterli in discussione, sottoporli ad attenta critica, nel tentativo di modificarli.
Anche l’apprendimento e lo sviluppo di ulteriori competenze sociali può rafforzare il senso di padronanza di sé e di autostima, permettendo un approccio alle situazioni sociali più rilassato.
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