Il dolore viene rappresentato come una complessa esperienza percettiva influenzata da un’ampia gamma di fattori psicosociali che includono emozioni, contesto sociale ed ambientale, background culturale, fattori biologici e il significato soggettivo del dolore che si associa a pensieri, atteggiamenti ed aspettative personali.
Il dolore cronico, che persiste per mesi e/o anni, influenza tutti gli aspetti del funzionamento dell’individuo: emotivo, interpersonale, motivazionale e fisico. Di conseguenza, il trattamento dei pazienti con dolore cronico richiede un’attenzione che va oltre la base organica, ma arriva a considerare i vari fattori che possono modulare la nocicezione e moderare l’esperienza di dolore.
Il modello biopsicosociale presume che una forma di patologia fisica o un cambiamento a livello muscolare, articolare o nervoso, generi un input nocicettivo al cervello. Il processo percettivo include l’interpretazione dell’input nocicettivo e l’identificazione del tipo di dolore (ad es. bruciatura, urto, taglio). In questa valutazione vi è compreso anche il significato attribuito al dolore e alla sua influenza sui successivi comportamenti. Questa valutazione è fortemente influenzata dalle credenze che ogni persona sviluppa rispetto al dolore, nel corso della vita. Sulla base di questi pensieri, un soggetto può scegliere di ignorare il dolore e continuare a lavorare, camminare, socializzare ecc.. o può optare per il ritiro dalle attività e assumere il ruolo di malato. A sua volta, questo ruolo può modificarsi a seconda delle risposte provenienti dalle persone circostanti, che possono promuovere una risposta attiva e salutare o, al contrario, favorire un “ristagno” nella posizione di malattia.
Le credenze (cioè le convinzioni) dei soggetti circa il dolore rappresentano un nodo centrale nel mantenimento della patologia cronica. Le credenze sul significato dei sintomi, sulla capacità di controllare il dolore, sull’impatto del dolore sulla propria vita, e le preoccupazioni sul futuro si sono rivelate elementi centrali nel perseverare del dolore cronico.
Ad esempio, la credenza che l’attività possa aggravare il danno e sia quindi pericolosa spesso comporta timore di impegnarsi negli sforzi di riabilitazione, preoccupazione per i sintomi fisici e inattività fisica che può amplificare il dolore e mantenere la disabilità. Questa ipervigilanza può predisporre le persone a prestare eccessiva attenzione alle variazioni fisiologiche, che potrebbero invece essere ignorate, e ad evitare molte attività che potrebbero essere svolte senza alcun problema.
Le terapie cognitivo comportamentali, con il supporto di protocolli mindfulness, possono aiutare le persone affette da dolore cronico ad assumere comportamenti più equilibrati e benefici per la propria salute e per migliorare la propria qualità di vita, nonché stimolare alla riabilitazione fisioterapica e all’attività fisica, necessaria per ridurre il grado di disabilità e la perdita di tonicità muscolare.