Motivazione e Sport: Oltre la teoria.

Elemento cruciale della pratica sportiva risulta essere la motivazione.

In assenza di motivazioni è difficile che i soggetti si avvicinino all’attività sportiva o mantengano il loro impegno costante nello sport. Cosa muove alla scelta di uno sport, cosa spinge a decidere di fare sport, cosa promuove la costanza negli allenamenti e lo sforzo nell’attività fisica? La motivazione influisce sulla scelta delle attività praticate (come il grado di difficoltà, o livello degli avversari con cui gareggiare), sull’impegno messo per raggiungere gli obiettivi (frequenza ed intensità degli allenamenti), e sulla resistenza di fronte ai fallimenti e alle difficoltà.

Per motivazione si intende la spinta ad agire, a mettere in atto comportamenti orientati ad uno scopo. Il concetto di motivazione sembra essere costituito da due componenti: la direzione e l’intensità. Per direzione si intende la meta verso cui si dirige l’azione. Cosa ci attrae, cosa ricerchiamo, cosa ci stimola: fare sport, vincere, giocare, divertirci, far parte di un gruppo, tenerci in forma... o cos’altro? L’intensità si riferisce invece a quanto sforzo ed impegno ci si mette nell’intraprendere e portare avanti un determinato scopo, azione, comportamento, pensiero.

 

Solitamente direzione e sforzo sono strettamente legati: quando una cosa non ci piace e non abbiamo motivo per farla, è molto probabile che ci sforzeremo minimamente, mentre quando decidiamo che un obiettivo è importante ci impegniamo a fondo per raggiungerlo.

Negli anni ’70 è stato realizzato un primo programma di ricerca mirato ad identificare i motivi che orientano il comportamento umano generale (Alderman e Wood, 1976). Sono stati così rilevati sette sistemi: affiliazione, potere, indipendenza, stress, eccellenza, successo, aggressività.

Applicati in ambito sportivo, il bisogno di stringere amicizie e relazioni significative con altri (affiliazione), la possibilità di esprimere le proprie capacità (eccellenza/indipendenza) e affrontare sfide stimolanti ed eccitanti (stress), erano le motivazioni più frequentemente associate alla scelta di prender parte ad un’attività sportiva. Altre ricerche hanno in seguito confermato questi risultati (Sapp e Haubenstricker,1978; Gill, Gross e Huddleston, 1983).

Tra le cause di non partecipazione allo sport sono state invece rilevate: la scarsità di impianti sportivi o la loro lontananza, la partecipazione ad altre attività ricreative ma non sportive, problemi di studio, costi elevati, scarsa disponibilità dei genitori. Tra le motivazioni del ritiro dalla pratica sportiva si trovano soprattutto sentimenti di noia, monotonia, ansia o depressione, ripetuti infortuni o fallimenti, cambiamenti di abitudini/vita/studio, e anche il passaggio dall’infanzia all’adolescenza rappresenta un punto critico.

E’ importante ricordare che ogni età ha le sue tipiche motivazioni ed interessi. I bambini si approcciano allo sport in modo totalmente diverso da quello degli adolescenti o degli adulti.

I piccoli sono focalizzati sulla sperimentazione dell’ambiente, sono incuriositi dagli attrezzi e portati a testare le loro competenze. Non sono predisposti a programmare gli impegni in vista di vantaggi futuri, piuttosto sono orientati al presente e a trarre appagamento dal gioco. Desiderano primeggiare per superare i sentimenti di disagio e differenza con l’adulto ma non sono  particolarmente impegnati a scontrarsi con gli altri coetanei. Il sostegno di allenatore, genitori ed amici è fondamentale in questa fase di sviluppo.

I ragazzi iniziano invece a trarre piacere dalla competizione, dal paragone con gli altri, ma anche dal voler migliorare e sfidare le proprie capacità, mettersi alla prova in compiti sempre più difficili. Nell’adolescenza aumenta quindi il desiderio di gareggiare e diminuisce la necessità del supporto esterno. Nell’età adulta permangono il desiderio di divertimento, di svago e di competizione, a cui spesso si uniscono la necessità di fare attività fisica per motivi di salute e per mantenersi in forma.

Ma da dove deriva la motivazione? E’ dovuta a caratteristiche interne e di personalità dei soggetti (essere più o meno individui “motivati”, predisposti a orientarsi verso degli obiettivi, ad impegnarsi, ad eccellere), o ad influenze e situazioni dell’ambiente esterno (necessità di uno stimolo motivante, di un elemento che scateni il comportamento)?

Ogni tecnico, allenatore, personal trainer, insegnante, tende ad avere la sua opinione e pregiudizio sulla motivazione. Di fronte ad una scarsa resa, alcuni sono guidati direttamente dal pensiero “questo sportivo non ha voglia, non ha motivazione, non si impegna” senza tener conto di condizioni esterne che possono influire sulla sua motivazione. Altri tenderanno a ragionare in termini di “forse questo allenamento non è strutturato bene, dovrei migliorare il modo di interagire, l’attrezzattura deve essere rimodernata..” non considerando il livello interno di motivazione dell’atleta, che potrebbe non dipendere dai cambi di “scena”.

Quella che viene quindi preferibilmente proposta è una visione integrata, in cui fattori personali interni ed influenze situazionali esterne interagiscono nella creazione della motivazione.

La motivazione può essere suddivisa in diverse tipologie.

  • Essa si definisce intrinseca quando la spinta ad agire deriva da stimoli interni, dal piacere, dal divertimento personale, dalla voglia di mettersi in gioco, di migliorare, e così via. Le attività motivate intrinsecamente sono autonome e autodeterminate, ed ogni intervento esterno che riduca tale percezione di autonomia, incide negativamente.
  • La motivazione diviene estrinseca quando si è spinti da incentivi esterni, premi, remunerazioni, dalla possibilità di ricevere lodi e elogi.

Nel primo caso ci si troverà di fronte ad un atleta piuttosto esigente con sé stesso, che non ha bisogno di troppi stimoli da parte dell’allenatore. La seconda tipologia caratterizza sportivi piuttosto dipendenti dal giudizio altrui, maggiormente fragili e bisognosi di ottenere conferme del proprio valore dall’esterno. In questo caso, avremo a che fare con un’atleta poco costante sia nell’impegno che nei risultati.

A tratti simile alla motivazione intrinseca, è il bisogno di autorealizzazione (Murray, 1938): con questo termine si intende il bisogno di sfidare i propri limiti, di impegnarsi in compiti difficili, di riuscire meglio di altri, di raggiungere l’eccellenza e il successo. In termini sportivi potremo definirla più semplicemente competitività o agonismo (Martens, 1976). Mentre alcuni soggetti si impegnano in una “lotta” contro se stessi, cercando un costante miglioramento, altri sono più improntati ad una lotta con gli altri, per primeggiare sull’avversario.

Nel primo caso si parla di orientamento al compito o alla competenza (Weiss & Chaumeton, 1992; Nicholls, 1984). L’atleta è focalizzato nell’apprendimento di nuove abilità, o nell’affinamento di quelle già acquisite, al fine di migliorare la sua performance. Verranno ricercate sfide con se stessi sempre più difficili e stimolanti, l’impegno sarà costante e duraturo. Lo sportivo non solo diverrà sempre più capace di eseguire un buon gesto tecnico ma acquisirà anche il controllo delle sue abilità, la sua competenza generale nell’affrontare allenamenti e gare. Ciò a sua volta comporterà un accrescimento dell’autostima, sensazioni di gioia e orgoglio, che influenzeranno la sua motivazione.

Nel secondo caso, ci troveremo di fronte ad un orientamento al risultato. L’atleta si pone l’obiettivo di riuscire meglio degli avversari, di vincere. Per perseguire questo scopo potrà ricorrere a scelta di avversari inferiori a lui, a compiti più facilmente eseguibili, e risultati più immediati.

Come agire allora per incrementare la motivazione?

  • Come prima cosa occorre comprendere le motivazioni che spingono a partecipare o non partecipare all’attività sportiva, tenendo presente non solo i fattori interni alla persona ma anche quelli situazionali esterni. Inoltre i soggetti hanno spesso diverse motivazioni, di vario tipo, alcune volte anche opposte e contrastanti, e differiscono a seconda del sesso e della cultura di appartenenza.
  • E’ importante conoscere gli stili attributivi degli atleti, ovvero il modo in cui “spiegano” il successo e il fallimento (Weiner, 1985). In particolare in riferimento alla stabilità delle cause (la situazione è dovuta a fattori stabili e permanenti o instabili e fluttuanti), al locus (fattore interno alla persona o esterno/situazionale) e alla controllabilità (le cause possono essere gestibili dal soggetto o incontrollabili). Le attribuzioni si legano alla motivazione in quanto capaci di influenzare le aspettative future e gli aspetti emotivi dei soggetti. Un atleta che spiega il suo fallimento come dovuto ad una sua mancanza di abilità stabile, interna e non migliorabile tramite l’allenamento e l’impegno, non sarà motivato a proseguire in quella pratica sportiva. Per contro, uno sportivo che vede una sconfitta causata da una momentanea distrazione, o da scarsi allenamenti o dall’ambiente di gara particolarmente ostile, sarà portato ad impegnarsi di più in vista dei prossimi incontri o semplicemente accetterà il fatto che non c’erano le condizioni giuste per eccellere in quella situazione.
  • Si può poi passare ad una modificazione dell’ambiente, in modo da soddisfare le necessità degli atleti: variazione negli allenamenti, inserimento di nuovi esercizi, creazione di momenti di competizione alternati a momenti di collaborazione e lavoro di gruppo. Favorire un clima di cooperazione, in cui le scelte vengono condivise ed affrontate insieme da allenatori ed atleti.

Un modello di riferimento per l’incremento della motivazione è rappresentato dal modello “TARGET”, che rappresenta l’acronimo di alcuni termini inglesi su cui focalizzare l’attenzione. Il modello lavora sulla motivazione intrinseca e orientata alla competenza (Treasure, 2001).

  • T Task (compito): compiti vari, diversificati e significativi per ogni atleta. Assegnare ad ogni soggetto lo stesso compito potrebbe provocare atteggiamenti di sfida e rivalità, l'orientamento si sposterebbe verso la prestazione e il risultato. Puntare ad assegnare compiti diversi o aspetti diversi di uno stesso compito, rende meno dipendenti dal confronto sociale e più orientati all'acquisizione di competenza personale.
  • A Authority (autorità): coinvolgimento degli atleti  nelle scelte. [NB: la scelta deve avvenire tra opzioni equivalenti, non tra un compito facile e uno difficile. Si può lasciare libera scelta rispetto all'aspetto su cui focalizzarsi.]
  • R Recognition (riconoscimenti): esprimere apprezzamenti ed incoraggiamenti, rinforzare gli atteggiamenti e i comportamenti positivi. E' importante che essi siano espressi in modo realistico e non come pure formalità. Meglio se esternati all'atleta in privato, piuttosto che pubblicamente. In tale caso potrebbero attivare confronto sociale. Rivolti al singolo incrementano invece i sentimenti di orgoglio e soddisfazione
  • G Grouping (gruppi): utilizzare il lavoro di gruppo, favorire la collaborazione e la cooperazione. creare gruppi eterogenei e con criteri flessibili, in modo che a seconda del compito richiesto i soggetti possano facilmente passare da un gruppo all'altro. Si evita il formarsi di gruppi stabili, che potrebbero competere tra loro.
  • E Evalutation (valutazione): fornire indicazioni , giudizi e critiche. Le valutazioni devono rispecchiare criteri individuali, personalizzati per ciascun atleta. Tengono conto dei miglioramenti, della partecipazioni e dell'impegno. Anche in questo caso è bene esprimerli in privato piuttosto che di fronte ai compagni.
  • T Time (tempo): stabilire e considerare tempi diversi, personalizzati per ciascun atelta. Alcuni necessitano di un tempo maggiore di altri per apprendere. Sollecitare una gestione autonoma del tempo e delle attività, piuttosto che aderire a programmi prestabiliti di marcia.

La motivazione è certamente un elemento chiave per l’avvicinamento alla pratica sportiva, l’apprendimento di gesti tecnici e la prestazione ottimale. Tuttavia occorre tener presente che la motivazione non è l’unica variabile ad incidere sul comportamento. Nel valutare i risultati dell’attività fisica e la ricerca o meno della pratica sportiva, bisogna tener conto anche di fattori fisiologici, sociali, medici, economici ecc…

 

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