Psicologia dello sport: il ruolo delle Attribuzioni.

Le attribuzioni possono essere considerate come sinonimo di spiegazione: attraverso il processo di attribuzione si tentano di definire le cause degli eventi e dei comportamenti umani.

Fornire una spiegazione del manifestarsi di alcune condizioni consente alle persone di fronteggiare situazioni simili nel futuro (se so cosa scatena un determinato fenomeno, sarò in grado di anticipare la sua comparsa, o quanto meno sarò pronto ad attivare le risorse necessarie a superarlo), consentendo in questo modo di sviluppare il controllo sull’ambiente (ricordiamo che l’autodeterminazione, la capacità di scegliere e indirizzare il proprio futuro, è un bisogno fondamentale dell’essere umano!).

Il processo di attribuzione può essere considerato come un processo dinamico e circolare, dove le attribuzioni influenzano le risposte (comportamenti ed atteggiamenti emessi dall’individuo), che a loro volta influenzano le valutazioni future sull’ambiente e ancora ulteriori risposte soggettive. Un’attribuzione errata può quindi generare diverse conseguenze negative.

Nel contesto agonistico, gli atleti cercano continuamente di fornire spiegazioni delle loro e altrui prestazioni sportive. In particolare sono concentrati e focalizzati sulle attribuzioni del fallimento piuttosto che del successo, questo perché solitamente si ricercano le cause di eventi negativi o inaspettati.

 

Il problema che si presenta alla psicologia sportiva quindi è: in che modo gli sportivi spiegano le prestazioni e localizzano la causa di esse?

La teoria dell’inferenza corrispondente (Jones & Davis, 1965) sostiene che i soggetti, dopo aver osservato determinati comportamenti, tendono a formulare giudizi basati sull’intenzione e sulla disposizione altrui, piuttosto che considerare elementi ambientali. In altre parole, la teoria ritiene che i soggetti attribuiscano più spesso le cause dei comportamenti a fattori interni alla persona (carattere, motivazione, impegno, attenzione) piuttosto che ad agenti esterni (condizioni sfavorevoli, sfortuna, difficoltà del compito). Per esempio, in relazione ad una scarsa performance sportiva, si avrà la propensione ad estrapolare che la persona non è brava nello sport. Tuttavia, tale conclusione potrebbe rivelarsi scorretta.

Nel modello di co-variazione di Kelley (1967) i soggetti hanno tre tipi di informazione a disposizione per collegare i risultati alle cause: coerenza, distintività e consenso. Questi dati sembrano utili per modificare le attribuzioni negative e disadattive, e gli psicologi sportivi spesso fanno leva su tali concetti per migliorare la prospettiva degli atleti.

Per esempio, dopo aver perso una partita, un giocatore potrebbe scoraggiarsi e dirsi “Non ho fatto bene. Forse è meglio lasciar perdere!”. Uno psicologo dello sport deve sfidare questo modo di pensare, domandandosi cosa aiuterebbe l’atleta a cambiare la sua iniziale reazione post partita. Utilizzando l’informazione di coerenza, potrebbe far riflettere lo sportivo sulle altre volte in cui ha giocato bene. Utilizzando il carattere distintivo, aiutarlo a focalizzarsi sugli aspetti della prestazione che andavano bene nonostante tutto. Attraverso il consenso, domandare se è a conoscenza di altri giocatori che in passato hanno attraversato la stessa situazione ma ne sono usciti e andati avanti.

Gli psicologi devono utilizzare questi tre tipi di informazioni (o almeno uno o due, a seconda dell’aspetto più rilevante da evidenziare) per aiutare l’atleta a sviluppare un modo di ragionare più adattivo e funzionale.

Nell’affrontare un fallimento, la principale raccomandazione evidenziata dalle ricerche sulle attribuzioni prescrive di attribuire la scarsa performance ad una carenza di sforzi e concentrazione. Questo perché le conseguenze psicologiche dell’attribuire la sconfitta a qualcosa che può cambiare e modificarsi,  sembrano essere più positive rispetto alla spiegazione dell’evento in base ad una caratteristica meno “gestibile” come la mancanza di abilità.

L’enfasi sugli sforzi può tuttavia diventare pericolosa se protratta nel lungo tempo. Dopo diversi fallimenti, in cui le persone si sono impegnate profondamente, l’attribuzione alla mancanza di abilità tenderà ad aumentare drasticamente (“nemmeno gli sforzi extra compensano la mia carenza di abilità!”).

Anderson (1983) ricorda che: “Qualsiasi tentativo di modificare le attribuzioni di una persona deve partire dal presupposto che la situazione problematica possa essere controllata e che la persona possa imparare qualcosa dal fallimento, possa incrementare con la pratica e possa raggiungere un livello accettabile di successo. Dato che in alcuni casi il fallimento è garantito, a causa di deficit nelle abilità o dalla fissazione di obiettivi irraggiungibili, in questi casi mantenere un livello di motivazione elevato può essere più disfunzionale che riconoscere l’incapacità di gestire quella situazione e arrendersi di fronte a quel particolare obiettivo”.

Anche le ricerche di Weiner (1985) sono giunte a conclusioni simili. La spiegazione degli eventi sembrerebbe fondarsi sulla combinazione di tre dimensioni: il locus della causa (cioè la localizzazione interna o esterna rispetto a se stessi), la stabilità (le cause sono modificabili nel tempo, instabili o si fa riferimento a proprietà invariabili) e la controllabilità (le cause possono essere gestite dal soggetto o sono incontrollabili).

Nelle attribuzioni successive ad un fallimento, sembra importante focalizzare l’attenzione su aspetti del problema che possono essere cambiati e quindi siano sotto il controllo dell’atleta. I fattori instabili come lo sforzo o l’applicazione della strategia sbagliata, comportano una percezione più ottimista e fiduciosa rispetto al futuro.

Notare che, per contro, rispetto alle aspettative future, è possibile accentuare il carattere di stabilità di un aspetto, come l’abilità, per motivare il soggetto alla prestazione eccellente.

In generale, tuttavia, tenendo in considerazione la natura incerta delle competizioni sportive, in cui interagiscono diversi fattori oltre alle caratteristiche degli atleti (condizioni meteorologiche, spettatori, condizioni del terreno, impianti, ecc) è bene puntare alle attribuzioni di controllabilità piuttosto che a quelle di stabilità.

Gli interventi dello psicologo sportivo vengono attuati per modificare l’abituale modalità di pensiero disfunzionale degli atleti. Essi vengono incoraggiati a spostare le loro solite valutazioni immediate verso nuove modalità di ragionamento.  Quello che si deve provare ad insegnare è a non saltare a reazioni intuitive ed immediate.

Entra in gioco la tempistica: bisogna attendere che la persona sia pronta a mettersi in discussione, piuttosto che prescrivere direttamente la giusta modalità di lavoro. La tempistica svolge un ruolo importante nello sport: sembra che a fine partita i soggetti tendano ad attribuire a se stessi i successi e agli altri i fallimenti, ma con il tempo le attribuzioni si modificano e l’atleta inizia a sentirsi responsabile di entrambi, ma il fallimento viene visto come reversibile e sotto il controllo personale.

Gli psicologi sportivi dovrebbero considerare di lavorare attraverso diversi stadi per affrontare le attribuzioni disadattive degli atleti:

  • nella prima fase appare importante identificare lo stato attribuzionale attuale, porre attenzione alle dimensioni prese in considerazione, al tempo trascorso dall’evento oggetto di attribuzione, e alla controllabilità delle cause;
  • nella seconda fase, utilizzare gli indicatori di coerenza, distintività e consenso, per modificare la visione negativa dell’evento;
  • nella terza fase, aiutare l’atleta a rapportarsi meglio agli aspetti che non può gestire e controllare.

Inoltre gli psicologi dovrebbero istruire gli sportivi a condurre questo processo da soli. In modo che non diventino dipendenti dal professionista ma sappiamo regolarsi in modo autonomo.

 

Riferimenti:

Rees T., Hardy L. (2005) Attribution in sport psychology. In Psy of sport and exercise.

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Dott.ssa Chiara Francesconi

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Autori: J.Young, J.Bowlby, Jon Kabat Zinn, G. Liotti, Aaron Beck & Albert Ellis

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