La rabbia, o l’ira, sono sentimenti intesi e primordiali. La letteratura, la storia, i miti antichi e la religione associano spesso questa emozione a figure potenti, giuste, nobili o divine (ricordiamo l’ira di Achille, la furia di Orlando, l’ira di Dio…). Arrabbiarsi è una condizione che si lega al senso di giustizia, alla violazione di leggi e norme, è quindi idonea reazione ai torti e alle offese. Chi si ribella viene ritenuto forte, coraggioso, impavido, e di animo generoso.
E poi c’è la visione opposta, anche in questo caso si ritrovano esempi nella religione e nella filosofia: l’ira come vizio capitale! Arrabbiarsi diviene allora inaccettabile, pari ad un peccato, non ammissibile neppure quando giustificato.
E’ così che si forma in noi il conflitto tra espressione ed inibizione della rabbia. E’ più giusto sfogarsi, manifestare la propria emozione, il proprio disappunto, o piuttosto mantenere la calma, farsi scivolare le cose addosso?
Che arrabbiarsi non faccia troppo bene alla salute, fisica e mentale, è abbastanza risaputo.
Tant’è che esistono centinaia di libri e trattati, da quelli psicologici a quelli orientali basati sullo zen e lo yoga, su come controllare i propri impulsi aggressivi.
Ma non è solo per la salute che si cerca di gestire questo sentimento. Tutte le emozioni espresse in maniera eccessiva non sono funzionali, adattive, ma non credo esistano testi su “come gestire la gioia”!
E perché la rabbia si? Sembra abbastanza ovvio: la rabbia fa paura. La rabbia ci carica di energia, di forza, di coraggio e decisione. Porta all’azione e accieca la vista. In preda alla furia potremmo essere capaci di fare cose pericolose e perdere il controllo di noi stessi.
Tuttavia arrabbiarsi è umano. Il che non significa che sia soltanto una caratteristica innata. Nel corso del tempo le “cause” di rabbia sono andate modificandosi: l’essere umano apprende dall’ambiente, dall’esperienza e dalla società, per cosa è giusto arrabbiarsi e qual è la maniera più appropriata di reagire (ricordiamo che fino a qualche decennio fa il delitto d’onore, cioè l’uccisione dell’amante o della coniuge adultera, era ritenuto un’attenuante in ambito penale, dal momento che si riconosceva l’offesa subita dal marito!).
Dal punto di vista psicologico, la rabbia è spesso provocata dalla frustrazione, cioè dall’essere ostacolati nel raggiungimento di un nostro obiettivo, in modo temporaneo o permanente. Possiamo essere frustrati dal non aver ottenuto un giocattolo, un aumento di stipendio, dall’aver perso gara, dal non essere stati capiti, dall’essere stati umiliati, e così via.
Ci si può quindi arrabbiare per un’ingiustizia (subita personalmente o accaduta ad altri) ma anche per frustrazione. E poi ci si arrabbia per condizioni sgradevoli di tipo fisico o materiale che minacciano l’integrità personale (come l’essere immobilizzati, o rinchiusi in una stanza, o per l’eccessivo caldo o freddo). Queste situazioni danno luogo ad immediate irritazioni ma possono arrivare a provocare manifestazioni di rabbia anche più forti.
La rabbia, come qualsiasi altra emozione, scaturisce spesso da un evento esterno che fa da “miccia all’esplosione”, ma tale evento viene percepito, valutato, analizzato tramite una “lente personale”, in maniera soggettiva; per cui può succedere che, di fronte ad uno stesso evento, una persona reagisca con uno scoppio d’ira mentre un’altra rimanga indifferente.
Quand’è che la rabbia da normale diventa “patologica”?
Potrebbe sorprendere, ma in realtà quello che le distingue non è la forza e l’intensità del sentimento.
Di fronte ad un offesa pesante, un affronto ingiusto, una trasgressione severa, la reazione potrebbe essere ugualmente intensa. E’ invece il livello qualitativo a fare la differenza. La rabbia espressa soltanto in forma aggressiva, con l’intenzione di nuocere l’altro, messa in atto in molteplici occasioni e per svariati motivi, insomma una rabbia diffusa e generalizzata, è questa ad essere patologica. Uno scoppio d’ira, anche se violento, ma mirato a ripristinare una relazione, a modificare il comportamento del trasgressore o in ogni caso avente l’intento di risolvere il problema, è da considerarsi come una rabbia sana.
Anche le conseguenze della rabbia sono utili per distinguere normalità e patologia. Gli individui con problemi clinici di rabbia sono più propensi a sperimentare una vasta gamma di conseguenze negative collegate ai loro episodi aggressivi. La rabbia viene associata a scontri verbali o fisici, abuso di sostanze, danni alle relazioni, esiti negativi a lungo termine.
Quali sono i trattamenti consigliati per la gestione della rabbia?
I metodi maggiormente utilizzati sembrano essere interventi basati sul rilassamento, sulla terapia cognitivo-comportamentale e sull’apprendimento di abilità comportamentali.
Il paziente può essere istruito all’utilizzo di tecniche di rilassamento muscolare che gli consentiranno di alleggerire la tensione corporea. Attraverso una ristrutturazione cognitiva si può aiutare la persona a percepire in modo più realistico ed accurato le situazioni, in modo che non vengano esagerati e distorti gli eventi, in maniera negativa. Sul versante comportamentale, possono essere insegnate nuove tipologie di risposta, attraverso diversi tipi di esposizione alle situazioni che suscitano rabbia, per dar modo al soggetto di apprendere la gestione delle sue emozioni.
Anche gli interventi sul perdono, che mirano a ridurre il desiderio di vendetta e i pensieri di condanna verso gli altri sembrano necessari ed efficaci per incrementare il successo della terapia. Infine, sembra utile anche il lavoro di tipo sistemico, che coinvolge familiari o amici o qualsiasi altra persona possa essere ritenuta un valido supporto sociale e risorsa per il soggetto.
L’ostacolo più grande in questi casi, sta nella predisposizione e motivazione del paziente al cambiamento.
Le persone in questi casi arrivano in terapia più per avere consigli su come cambiare il comportamento dei trasgressori, o per sfogarsi di essere il bersaglio di ingiusti trattamenti. Vogliono che il terapeuta li aiuti a capire come cambiare i loro amici, colleghi, partner o superiori, piuttosto che modificare il proprio atteggiamento. Dal momento che spesso le persone rifiutano l’obiettivo terapeutico di eliminazione della rabbia, ma restano piuttosto concentrati sul desiderio di vendetta, insegnare ai pazienti la distinzione tra rabbia adattiva e distruttiva, e creare la consapevolezza degli elevati costi che può comportare la rivalsa, può essere un primo passo utile per favorire il cambiamento.
Ogni soggetto con problemi di rabbia probabilmente sperimenta situazioni in cui la rabbia è una risposta adeguata ed appropriata. Il terapeuta deve stare attento a non cadere in errore, nel tentativo di bloccare qualsiasi reazione aggressiva del paziente, piuttosto occorre esplorare i significati appropriati ed efficaci dell’espressione di rabbia nelle varie occasioni.
Ed infine piccoli consigli per gestire meglio le arrabbiature quotidiane, che si basano sul semplice buon senso:
- Appena possibile allontanarsi dalla fonte di rabbia.
- Riprendere o iniziare attività che ci tengano concentrati su quel lavoro e ci distraggano dal resto.
- Procurarsi una gratificazione più o meno immediata (a seconda dei gusti e degli interessi: leggersi un libro, ascoltare un brano musicale, uscire a fare una corsa…).
- Sfogarsi con un confidente, che si manterrà imparziale, non aizzandoci ulteriormente. Meglio ancora se la persona in questione è un soggetto dotato di senso dell’umorismo e ironia, capace di sdrammatizzare le situazioni.
- Mettere su carta tutta la vicenda, per poterla rileggere a 'bocce ferme' e nel frattempo far passare tempo per sbollire.
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