L’insonnia è un disturbo del sonno piuttosto diffuso, che si manifesta più frequentemente nelle donne e nelle persone anziane.
Le classificazioni internazionali dei disturbi del sonno definiscono tale problema come una continua difficoltà ad iniziare o a mantenere il sonno, associata ad un mal funzionamento diurno (cattivo umore, irritabilità, difficoltà cognitive, eccessiva sonnolenza nelle ore diurne).
L’insonnia può essere conseguenza o parte di un altro disturbo medico o psichiatrico (si parla allora di insonnia secondaria) oppure presentarsi come forma indipendente e autonoma (insonnia primaria).
Sembrano esistere diverse tipologie di insonnia primaria:
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L’insonnia da adattamento è una forma acuta e breve che si manifesta in seguito ad un episodio stressante e ben definito avvenuto nella vita della persona (lutto, cambio lavoro, conflitto familiare), il quale incide sull’equilibrio psico-fisico per un tempo limitato finchè l’evento non si risolve o l’individuo si adatta alla nuova situazione.
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L’insonnia da inadeguata igiene del sonno si associa ad uno stile di vita e comportamenti non salutari che risultano incompatibili con il mantenimento di una buona qualità del sonno notturno (eccessiva assunzione di caffeina, nicotina, eccessiva attività fisica o cognitiva prima di coricarsi, frequenti riposini diurni, orari irregolari ecc).
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L’insonnia soggettiva si verifica quando la persona percepisce una cattiva qualità del proprio sonno anche in assenza di rilevanti alterazioni o conseguenze diurne negative. Ciò potrebbe essere dovuto ad attività mentali simili a quelle della veglia durante lo stato di sonno che rendono difficile per il soggetto distinguere tra le due condizioni.
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L’insonnia psicofisiologica è la tipologia più comune ed è quella in cui entrano maggiormente in gioco i fattori di mantenimento cognitivi e comportamentali. In particolare, l’accrescimento della tensione anche a livello fisiologico e somatico risultante dalla preoccupazione e della paura di non dormire (apprensione per la mancanza di sonno), sembra giocare un ruolo fondamentale. Dopo una occasionale notte insonne dovuta a motivi di stress o problemi di salute, il soggetto, in prossimità dell’ora in cui abitualmente va a dormire, svilupperebbe dei pensieri intrusivi riguardo all’insonnia (“e se nemmeno stasera riuscissi a dormire?”, “non ci vorrebbe proprio un’altra nottata in bianco!”, “devo assolutamente riuscire a dormire”, “domani ho una giornata impegnativa, non posso permettermi di non dormire”), che hanno due conseguenze negative per il sonno: da una parte tali pensieri portano la focalizzazione dell’attenzione sul riuscire o meno a dormire e il soggetto si “sforza” a dormire con il risultato paradossale di rimanere sveglio in quanto il sonno è per definizione spontaneo e non a comando, dall’altra parte la preoccupazione per la possibilità di non dormire e il ricordo delle notti precedenti passate insonni determinano un’eccessiva attivazione emotiva, cognitiva e fisiologica che impedisce il rilassamento fisico e psicologico necessario per dormire.
Sembra quindi che l’attivazione di vari pensieri disfunzionali funga da fattore di mantenimento del disturbo del sonno e tramuti l’insonnia acuta e situazionale in un problema cronico.
Qualche piccolo rimedio "della nonna":
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usare il letto soltanto per dormire (evitare di mangiare, telefonare, stare al pc o altro dal letto)
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evitare un'eccessiva attività fisica o mentale dopo cena, o comunque qualche ora prima di coricarsi
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non bere caffè, thè e altre bibite eccitanti negli orari serali
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andare a dormire soltanto quando ci si sente stanchi (e non per orari imposti)
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apprendere una strategia di rilassamento (ad es. il training autogeno)
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Superare l'insonnia. Come dormire meglio con la terapia cognitivo-comportamentale