I contesti organizzativi e lavorativi sono caratterizzati da vari gradi di “costrittività”. Con il termine costrittività si intende una riduzione delle libertà individuali, necessaria per far si che un sistema si organizzi e funzioni in maniera efficiente ed efficace.
Nel corso dei secoli, è stata infatti tramandata e sempre più applicata l’idea che l’organizzazione, intesa come struttura gerarchica con vari gradi e suddivisione di potere, responsabilità e mansioni, sia lo strumento più utile al raggiungimento di obiettivi comuni.
“Lo sforzo di due o più individui che lavorano assieme, verso un traguardo comune, è più efficace della somma degli sforzi degli individui che lavorano separatamente” (B. Cornell)
E’ altresì vero che le limitazioni della propria individualità e personalità sono spesso causa di distress, che può diventare più o meno significativo a seconda dei casi e delle circostanze.
Dalle ultime stime, si conta che il lavoro è fonte di sofferenza e disagio per circa 9 milioni di italiani (circa il 38% della classe lavoratrice).
Lo “stress lavoro correlato” può essere definito come la percezione di squilibrio avvertita dal lavoratore quando le richieste del contenuto, dell’organizzazione e dell’ambiente di lavoro, eccedono le capacità individuali per fronteggiare tali richieste [European Agency for Safety and Health at Work].
Nei contesti lavorativi, pertanto, i lavoratori possono scontrarsi con due tipologie di costrittività:
- Tecnologica
- Sociale/Relazionale
La costrittività tecnologica fa riferimento al disagio e alla sofferenza emergenti da aspetti logistici del mestiere, come la monotonia industriale, problemi ergonomici, turni lavorativi pesanti, carenze infrastrutturali (scarsa illuminazione, temperature disagevoli, spazi insufficienti, scarse condizioni igieniche…).
La costrittività sociale è invece fortemente legata ai rapporti interpersonali che esistono all’interno delle aziende e delle strutture organizzative. Lo stress correlato a queste esperienze “costrittive” può andare da tensioni e conflitti sporadici, al vero e proprio fenomeno del mobbing.
Il conflitto relazionale, da un lato ritenuto “fisiologico” ed accettabile, e fino a certi limiti anche positivo per lo sviluppo e la produttività di un’organizzazione lavorativa, per contro può risultare deleterio e distruttivo quando diventa patologico e aggressivo.
Il mobbing (dal verbo inglese To Mob: accerchiare, assalire, attaccare) costituisce una comunicazione ostile e non etica, messa in atto in maniera sistematica da parte di uno più individui, generalmente contro un singolo, che a causa di tali azioni risulta spinto in una situazione di inferiorità e isolamento.
Viene rappresentata come una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, in cui la vittima si sente emarginata, criticata e squalificata.
Il mobbing può prendere varie forme:
- La più comune è quella tra colleghi di pari grado, definito anche “mobbing orizzontale”.
- Ma può presentarsi anche nella forma dal basso verso l’alto, quando i dipendenti e sottoposti si alleano tra loro “ribellandosi” al superiore e datore di lavoro, contraddicendo o ignorando le sue direttive.
- La forma di mobbing dall’alto al basso (che in questo caso prende il nome di “bossing”), cioè quella agita dal superiore al sottoposto sembra presentare ulteriori sfumature: da quello che viene definito “bossing strategico”, spesso attuato al fine di sollecitare un licenziamento volontario di un dipendente “scomodo”, ad un “bossing non strategico”, involontario.
Le azioni più utilizzate dai “mobber” per attaccare le vittime prescelte possono comprendere:
- Mobbing attivi: comportamenti visibilmente e intenzionalmente svalutanti, aggressivi, intimidatori, umilianti, offensivi
- Mobbing passivi: nelle varie forme in cui la vittima viene evitata, ignorata, isolata.
Gli attacchi possono riguardare aspetti personali; critiche e svalutazioni lavorative; attacchi contro la reputazione della persona; svilimento della funzione e del ruolo lavorativo come trasferimenti, revoche di mansione, assegnazione di lavori sottopagati o al di sotto delle capacità dell’individuo…
Nella maggior parte dei casi le vittime di mobbing sono consapevoli del trattamento che stanno subendo, anche se talvolta finiscono per attribuire a se stessi la colpa di ciò.
I danni più frequentemente subiti consistono in ricordi angoscianti degli attacchi subiti, senso di impotenza, riduzione dell’interesse nei confronti della vita quotidiana e del mondo esterno, chiusura in se stessi. Questi segnali possono portare allo sviluppo di vere e proprie patologie psicologiche e psichiatriche: depressione, ansia, attacchi di panico, disturbo post-traumatico da stress, disturbi dell’adattamento. Anche le conseguenze fisiologiche possono essere rilevanti: insonnie, emicranie, difficoltà digestive, perdita di concentrazione, affaticamento, difficoltà respiratorie, tachicardia.
Per poter gestire e reagire efficacemente allo stress lavoro correlato (tecnologico e sociale), è possibile ricorrere a diverse strategie:
- Sviluppo di una buona autostima e autodifesa verbale
- Ricorso ad associazioni che si occupano di prevenire e fronteggiare tali difficoltà lavorative
- Ricorso alla legislazione.
La Costituzione italiana contiene principi fondamentali sulla tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni (art.35) e sul riconoscimento della tutela della salute come diritto dell’uomo (art.32). Articoli che trovano una loro specifica applicazione nell’art.2087 del Codice Civile.